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Il sogno di oggi:
Mi trovavo a bordo di una monorotaia, tipo quella del primo Half Life ad inizio gioco, solo che anziché essere un mezzo di spostamento all’interno di un sito industriale era allestito come vero e proprio “treno” passeggeri seppur fosse molto piccolo, era una sola carrozza compatta.
Dentro aveva una struttura a due volumi, davanti c’era il macchinista e subito dietro di lui c’era una fila con due posti vicini separati al centro da un piccolo corridoio con una porticina che collegava al volume posteriore.
All’inizio sono in piedi vicino al macchinista mentre partiamo, mi chiede dove stessi andando di bello e gli dico che mi dovevo trovare con un amico lungo il percorso, poi mi accomodo nella sezione posteriore del vagone e qui i posti sono più lussuosi: sulla destra c’è un gruppo di 4 poltrone in pelle marroni su 2 file e sulla sinistra, sempre divise da un piccolo corridoio, ci sono altre 4 poltrone disposte a L ruotata di 90º in senso orario, come un divano.
Mi siedo nel gruppo di 4 poltrone sulla destra, nel posto sul fondo a destra che guarda fuori dal finestrino.
Avevo in mano un biglietto stampato su foglio A4, non c’era scritta la destinazione e non sapevo dove stessi andando, soprattutto ero preoccupato che fossi sul mezzo errato, ma intanto arriviamo alla prima stazione, lo scenario è ancora semi urbano.
Salgono 7 persone tutti i posti vicino a me vengono occupati, intanto il treno riparte e l’animazione del movimento ricorda quei giochi arcade anni ‘80 tipo Outrun e affini, con lo sfondo fisso e la strada che si muove assieme a degli oggetti ai lati, e di colpo siamo in bassa montagna, c’è tanto verde e si vedono le montagne con le cime innevate proprio di fronte a noi, nel mentre il treno passa attraverso alla seconda stazione ma senza fermarsi, rallenta tanto quanto basta per farmi notare che c’è un piccolo raduno di automobili e c’è una Giulia Quadrifoglio rossa bellissima che mi giro a fissare facendoli anche una foto con il cellulare.
>”Bella, vero? Chissà quanti soldi ha il proprietario…”
Queste le parole proferite dalla ragazza seduta proprio nel sedile vicino al mio, non mi ero proprio accorto di lei, alche io rispondo dicendo qualcosa tipo “beato lui”, e intanto rimango incantato dalla bellezza di questa persona con i capelli lunghi rossicci, incarnato pallido e perfezione generale come solo le donne in un sogno possono essere.
Lei inizia a regolare il sedile inclinando lo schienale e mettendosi comoda, io intanto sento che lei mi pressa la sua coscia contro di me, anche il piede sta a contatto con la mia scarpa, sento il suo calore, infine il braccio sul bracciolo è adeso al mio.
Il macchinista si ferma ad una nuova fermata, c’è un po’ di neve e tutta la stazione è fatta di legno con grandi archi che ricordano il costruzioni dell’800, e qui vedo sulla banchina il mio amico con cui dovevo trovarmi, che sale in carrozza ma è costretto ad accomodarsi nella parte anteriore per mancanza di posti a sedere.
Cambio scena improvviso siamo io, il mio amico e la ragazza bellissima che camminiamo attraverso il cancello di ingresso di una villa lussuosa in un giardino innevato, si stava parlando di automobili e di quanto le auto moderne facessero schifo, io dicevo che ero fortunato allora avendo una Panda di 20 anni (questo dialogo è avvenuto realmente nel filo delle auto lol) e la ragazza mi faceva notare ridendo che era lentissima a fare lo 0-100, ma io dicevo che per il mio uso bastava ed era adeguata.
Cambio scena stiamo salendo delle scale esterne ma non c’è più la villa lussuosa, stiamo entrando in una specie di baita/casa di legno su due piani, che è un ristorante, quindi entriamo e ci fanno accomodare al piano superiore sotto al tetto, ci sono 4 tavoli. Noto subito che l’amico e la ragazza sono spariti, al tavolo dove mi siedo ci sono io, mio padre e mia madre, alla nostra sinistra c’è un tavolo con 6 ebrei ortodossi, un altro tavolo e composto da una famiglia con due bambine.
Ci viene portato il cibo, i pizzoccheri, e dentro al mio piatto c’è letteralmente una scatoletta di latta delle sardine, senza etichette o altro, immersa nel
cibo come se niente fosse, e la proprietaria della locanda, che nel frattempo era comparsa, mi dice che è una tradizione loro lasciare nel cibo ciò che la nonna Rita (la cuoca) metteva nel pentolone quando cucinava, anche gli oggetti estranei, che poi andavano a finire per ricordo appesi al muro - che mi indicava - dove c’erano altri oggetti tipo un colino, un macinino per pepe e una moka.
Mangio e vedo i 6 ebrei andare tutti assieme al bagno, alle nostre spalle, mi giro e vedo che le sue bambine del tavolo con i genitori mancano e sono al bagno, quindi mi allarmo e mio padre si alza e va nel bagno delle donne e appena apre la porta escono i 6 ebrei che scappano al loro tavolo come interrotti ed iniziano a confabulare nella loro lingua mettendosi le braccia sulle spalle a vicenda e stringendosi in un cerchio, intanto io e mio padre iniziamo a dire “non li si odia mai abbastanza”, io mi avvicino alla stufa e prendo l’attrezzo di ferro che si usa per muovere le braci per fare il needful ma a quel punto gli ebrei sono scomparsi, il tavolo è vuoto, il mio tavolo è vuoto, il sogno è finito.