>>7076Non esiste una "italianità", se non come lingua comprensibile dal Ticino a Lampedusa (lingua "formale", non il dialetto da usare al bar e in casa ma lingua da usare sui documenti, a scuola, nelle comunicazioni di lavoro e di pubblica amministrazione, non necessariamente lingua per organizzare la grande mangiata con tuo zio).
Un calabrese/pugliese lo puoi trapiantare a Napoli, ma già in Ciociaria o Roma non si sentirà troppo a suo agio. Figurarsi a piazzarlo a Bologna, Milano, Sondrio. Il viceversa è uguale, e non certo perché sulle Alpi fa freddo e a Caltanissetta si schiatta dal caldo.
Dunque le regioni "classiche" (regno delle due Sicilie, Stato della Chiesa, ecc.) erano già più che sufficienti come identità nazionali. Che nel frattempo erano anche sistemi economici (per lo più basati sull'agricoltura, ma prima dell'invasione il regno di Napoli pullulava di treni, università, banche, centri di ricerca, letteratura, musica…)
L'unificazione ce l'hanno inflitta i massoni, in odio al regno di Napoli ("cattolico") e allo stato della Chiesa. Come tutte le rivoluzioni, in Italia funziona sempre a metà: hanno distrutto la parte istituzionale di quei "regni", ma senza riuscire a sradicare la fede dalla gente (oh beh, ci sono quasi riusciti, ma c'è voluto un secolo e mezzo in più del previsto)