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"Osovani in camicia nera
Lette le carte da cima a fondo, ora Meloni conosce anche la triste storia degli osovani in camicia nera visti all’opera nel cosiddetto “presidio di Ravosa”, sempre in Friuli, costituito il 28 gennaio 1945 in un “patriottico” accordo tra la milizia fascista e il comandante della prima brigata Osoppo, Marino Silvestri Alfredo, con il beneplacito di Francesco De Gregori Bolla e del suo delegato politico Alfredo Berzanti Paolo, il futuro primo presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Al processo di Lucca, Silvestri e Berzanti diranno che era per proteggere Ravosa dai saccheggi dei cosacchi, alleati e complici delle malefatte di nazisti e camicie nere.
Al solito, non viene meno la tolleranza germanica (come scrive lo storico liberale Joze Pirjevec, «e un fatto che gli osovani intrattennero rapporti “diplomatici” con la Wehrmacht e con i suoi collaboratori cosacchi»).
Pare incredibile ma, guidati da ufficiali repubblichini e da loro addestrati e armati di tutto punto, questi osovani prenderanno parte a piu di un rastrellamento anti garibaldino. Al processo di Lucca ne ha dato fra gli altri testimonianza Zeffirino Rossi Amos, un garibaldino arrestato nel marzo 1945 dai doppiogiochisti del presidio di Ravosa e rinchiuso nel collegio Marconi di Udine: da li, il prigioniero vede «gli osovani uscire ed entrare con la macchina e la moto, e io mi domandavo come potevano fare cio».
E sempre a Lucca depone l’osovano Francesco del Negro: «Ci dissero di andare a Ravosa e qui giunti ci dissero di andare a vestirci a Udine con la divisa dei repubblichini. Con me erano diversi altri. Ci dettero la divisa grigio verde, una camicia nera e una camicia grigio verde. Sul berretto ricordo che c’era il fascio».
Partigiani che rastrellano partigiani
Assetata di sapere, alla mai paga Giorgia Meloni non dev’essere di certo sfuggita la deposizione ai giudici lucchesi di Ermenegildo Qualizza, altro osovano: «Il presidio [di Ravosa] era comandato da ufficiali repubblichini. Il comandante e sempre stato un tenente e c’erano anche tre sottufficiali». Qualizza puntualizza che era «vestito come gli altri, in grigio verde, e avevamo due camicie una grigio verde e una nera».
Qualizza ammette di aver preso parte a rastrellamenti anti garibaldini: «Ricordo che a Udine un giorno, mentre facevamo istruzione, ci portarono a un rastrellamento e bisogno andare».
Altrettanto surreale appare la deposizione di Remigio Rebez detto “la belva di Udine”, nuotatore paracadutista della Decima Mas di stanza al Centro di repressione presso la famigerata caserma “Piave” di Palmanova, un luogo in cui lo stesso Rebez tortura e ammazza i partigiani: come si legge, la maggior parte erano garibaldini, mentre i pochissimi dell’Osoppo «erano trattati benissimo e io stesso sono andato con loro al cinematografo». Rebez porta numerosi esempi, concludendo che «i patrioti dell’Osoppo arrestati sedevano alla mensa unitamente ai sottufficiali del Comando della Milizia».
Su un altro piano, Rebez ricorda il capitano delle SS Pakebusch, (comandante del suddetto Centro di repressione antipartigiana), gradito ospite a Villa Mangilli del facoltoso marchese Ferdinando Mangilli, esponente dell’Osoppo e membro dell’organizzazione Franchi di Edgardo Sogno (quest'ultimo coinvolto nel cosiddetto “golpe bianco” del 1974).
All’armi siam golpisti
Il dopoguerra ha visto brillare altre figure apicali del firmamento osovano, come il generale gladiatore Luigi Olivieri (il partigiano Ginepro, gia capo di stato maggiore della Osoppo sul finire delle ostilita, nonche membro del Comando unico insurrezionale di Udine e capo del Terzo corpo volontari, poi Organizzazione O), il colonnello Aldo Specogna alias Repe (ex comandante della Settima brigata Osoppo, poi capo del Movimento tricolore, reclutatore in Gladio e infine, subentrando a Olivieri, responsabile del Centro occulto di addestramento Ariete di Udine, costituito nel 1964 in sostituzione del Centro Orione, il primo centro di pronto intervento di Gladio) e, piu lateralmente, il colonnello Prospero Del Din – il padre di Paola Del Din, la più amata da Meloni – prigioniero degli inglesi in India, comandante dell’organizzazione segreta Fratelli d’Italia (eh), aderente al Terzo corpo volontari per la liberta e responsabile di zona dei servizi segreti italiani.
Tutti passati per il Sim (il servizio segreto del Regio esercito), tutti poi aggregati al Sifar (il Servizio segreto militare della giovane Repubblica), tutti, chi più chi meno, coinvolti, nei primi anni Sessanta, nelle trame golpiste del “piano Solo” del generale “partigiano” Giovanni De Lorenzo""